Licenziamento e crisi dell’impresa

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L’art. 2119 cc al comma due afferma che il fallimento dell’imprenditore o la liquidazione coatta amministrativa non costituiscono giusta causa di risoluzione del contratto di lavoro.

In questi casi i rapporti di lavoro sono disciplinati dalla Legge fallimentare (Regio Decreto 267/1942).

Questa disposizione sarà sostituita a seguito della imminente entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa (Dlgs 14/2019), che sostituirà la Legge fallimentare, da una diversa disciplina la quale, nel confermare che la liquidazione coatta dell’impresa in sede giudiziale non costituisce giusta causa di risoluzione dei rapporti di lavoro, sancisce che gli effetti della stessa sono regolati dal predetto Codice della crisi d’impresa.

Non si ha quindi un automatico licenziamento dei lavoratori dipendenti di un’impresa entrata in stato di crisi.

Nella disciplina previgente all’art. 72 L.f. il legislatore aveva sancito la sospensione dei rapporti giuridici pendenti, fino a quando il curatore dichiarava di subentrare nel contratto in luogo del fallito, ovvero di sciogliersi dal medesimo. La richiamata disposizione non conteneva tuttavia nessun accenno specifico ai rapporti di lavoro, con la conseguenza che nel corso degli anni sul punto era nato un vivace dibattito giurisprudenziale e dottrinale.

L’orientamento giurisprudenziale di legittimità più recente aveva evidenziato come l’istituto della sospensione trovasse spazio anche in riferimento ai contratti di lavoro. L’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa pone fine al vulnus normativo in materia, essendo stato cristallizzato nell’art. 189 del richiamato decreto l’orientamento delineato dalla Suprema Corte di Cassazione.

Il legislatore si è infatti preoccupato di introdurre una disciplina a sé stante circa i rapporti di lavoro pendenti alla data di avvio della procedura concorsuale, prevedendo che: “l’apertura della liquidazione giudiziale nei confronti del datore di lavoro non costituisce motivo di licenziamento.

I rapporti di lavoro subordinato in atto alla data della sentenza dichiarativa restano sospesi fino a quando il curatore, con l’autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori, comunica ai lavoratori di subentrarvi, assumendo i relativi obblighi, ovvero il recesso”.

La portata dell’art. 189 in vigore assume altresì una notevole importanza ove si consideri che al punto 3 introduce anche un limite alla eventuale inerzia del curatore che non opera una scelta in tempi ragionevoli.

Viene infatti previsto che decorso il termine di quattro mesi dalla data di apertura della liquidazione giudiziale senza che il curatore abbia comunicato il subentro, i rapporti di lavoro subordinato che non siano gia’ cessati si intendono risolti di diritto con decorrenza dalla data di apertura della liquidazione giudiziale. In caso di risoluzione del rapporto di lavoro, i dipendenti dell’impresa entrata in stato di crisi potranno in ogni caso far valere i loro diritti relativi ad eventuali mensilità o altre prestazioni non corrisposte, al Tfr e alle ferie.

Avv. Antonio Zifaro
Avv. Antonio Zifaro

Iscritto all’ordine degli avvocati di Pisa dal 12/11/2010.
Oltre 10 anni di esperienza.

Avv. Antonio Zifaro
zifaro@avvocatopierri.it

Iscritto all’ordine degli avvocati di Pisa dal 12/11/2010. Oltre 10 anni di esperienza.